«Sei in grado di lavorare velocemente? Sai concentrarti per ore senza distrarti? Senza sentire la stanchezza, senza porti domande?» Con queste parole, la voce della giovane 22enne Bay, protagonista di questo documentario, che proviene dal villaggio sulle palafitte di Muong nel nord del Vietnam, ci fa capire immediatamente quali sono le condizioni di lavoro a cui sono costrette le operaie che nel sobborgo di Hanoi sono impiegate nel parco industriale di Thang Long fra i più grandi al mondo specializzato principalmente nella produzione di dispositivi elettronici. La rivoluzione industriale vietnamita, sempre più in crescita e in competizione con gli altri Stati Asiatici, utilizza per l’80% mano d’opera femminile grazie alle loro “nimble fingers”, dita agili e sottili, determinandone le condizioni di vita e di lavoro oltre che psicologiche, scandite rigorosamente dal sistema produttivo tanto da indurle a recitare come un mantra: «Siamo tutte giovani e forti qui, siamo donne rigogliose, precise e efficienti. Questo è il posto per quelle come noi».
Con Bay viviamo alcune giornate di una quotidianità sempre uguale e con gli stessi ritmi. Prepararsi per andare a lavoro e raggiungere la fabbrica in bicicletta partendo dalle piccole e fatiscenti abitazioni nella periferia della capitale dove per ridurre i costi coabita con altre ragazze in ambienti ristretti e squallidi, con i servizi ridotti al minimo, ottimizzando al massimo i beni di prima necessità perché la cosa più importante è non perdere il lavoro e guadagnare, produrre, essere concentrate e non fallire mai. In fabbrica il minimo errore, come posizionare male una vite, rallentare la linea di produzione o un semplice giorno di malattia comporterebbero una valutazione negativa, facilmente convertibile, data l’innumerevole richiesta di lavoro, in licenziamento. «Quando non raggiungi gli obiettivi chiedi di rimanere oltre l’orario di uscita, devi fare sempre di più». Il pochissimo tempo libero (un giorno al mese) viene impiegato cercando di dare importanza alle piccole cose, chiacchierare, confrontarsi sulla vita, il lavoro e i sogni. Si gioca a carte, si mangia insieme e si fanno passeggiate per le strade della caotica città di Hanoi, troppo cara per i loro stipendi, dove in una specie di sincronizzato caos mezzi e persone si sfiorano senza scontrarsi, come in un gigantesco formicaio in continuo fermento. Il lavoro in fabbrica non viene mai mostrato, infatti non è stato dato da nessuna azienda il permesso di filmare all’interno. Il regista ha affrontato il problema risolvendolo con un’idea originale. Il lavoro delle operaie viene perfettamente descritto con dei semplici e didascalici disegni animati che mostrano la meccanicità dei movimenti sempre uguali che le operaie devono fare continuamente video sorvegliate e con l’obbligo tassativo di accettare che: «Qui funziona così, chiedi il permesso se devi parlare, se devi mangiare, se devi muoverti»
Il contrasto tra modernità e tradizione si fa sentire con l’attesissimo breve ritorno al villaggio o ai paesi di origine che avviene durante il periodo del capodanno cinese in concomitanza della tradizionale festa del Tet tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio, dove in contrapposizione con la frenetica vita cittadina, come per “magia”, tutto si rallenta. Le famiglie si riuniscono ed emergono i più antichi usi e costumi della tradizione vietnamita. Un’occasione per pensare al futuro della propria esistenza, elaborando il distacco dalla vita rurale simbolo di una trasformazione più grande di un paese e di un’intera generazione, dove le aspirazioni e i sogni per la libertà e l’indipendenza si scontrano con l’alternativa di rimanere a lavorare nelle risaie o essere soggetti allo sfruttamento industriale.
Questo documentario di 52 minuti che è possibile vedere online sulla piattaforma Open DDB, prima rete distributiva di produzioni indipendenti in Europa, già premiato in molti festival nazionali e internazionali, è il risultato delle lunghe e accurate ricerche fatte sul campo dal regista, antropologo e giornalista italiano Parsifal Reparato, in collaborazione con L’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” e l’Accademia di Scienze Sociali Vietnamita.“Nimble Fingers” nonostante l’argomento, non cade mai nel banale stereotipo del vittimismo, presentando la situazione così com’è, diretta e reale, dove la semplice vita di una giovane operaia vietnamita ci offre lo spunto per numerose riflessioni e inquietanti domande sul futuro dell’essere umano sopraffatto dalla continua e sfrenata industrializzazione.